Il terremoto sta facendo crollare, scossa dopo scossa, non
solo case, chiese, capannoni e stalle, ma anche ipotesi scientifiche e
strategie preventive. E per ora non ci permette nemmeno di utilizzare i verbi
al passato. Se comunque, tra me e me, provo a fare una sintesi semplificatrice
delle analisi raccolte da più voci, mi par di aver capito che quest’ultimo
terremoto – anzi, terremoti – sia originato dallo scontro di placche geologiche
lungo una faglia (peraltro in se stessa frammentata) ai piedi dell’Appennino
emiliano.
Questa regione sta conoscendo la devastazione di un fronte
geologico sommerso, che l’attraversa per lungo e che, quando si attiva,
scompiglia, minaccia, abbatte o più cinicamente costringe te ad abbattere, ma
comunque alimenta terrore e angoscia.
Questa regione ha conosciuto – e anche questa è storia
relativamente recente, che ancora impedisce di utilizzare i verbi al passato –
la devastazione di un fronte geopolitico fra le placche del nazi-fascismo e
della resistenza. La «faglia gotica» ha seminato morte e devastazione per 300
kilometri e 300 giorni. La ricostruzione civile e umana ha assorbito risorse
individuali e collettive immense e si è potuta realizzare grazie al
dispiegamento di virtù non comuni.
Dal passaggio del Rubicone, ai confini dello Stato
pontificio, all’immancabile nevicata che accende il titolo automatico dei TG –
«Italia divisa in due» – questa regione sembra appoggiata sul crocevia di
faglie e confini che periodicamente la fanno sussultare e continuamente la
chiamano a ricostruire, riconciliare, rifare il tessuto sociale. Del resto,
questa è una regione che, come le altre due al confine, ha la cerniera, il trait-d’union nel suo nome:
Emilia-Romagna.