mercoledì 18 settembre 2013

Pensiero magico

Suonano alla porta. La mamma va ad aprire. Il piccolo è subito dietro di lei e, sulla soglia, non vede la faccia del corriere ma solo un grande pacco che lo copre dalla cintura in su. La mamma chiede prudentemente di controllare il contenuto, firma il tagliando di consegna e dice al ragazzino: «Guarda che fortuna! È arrivato proprio il giorno del tuo compleanno!». Salti di gioia! Anche il cane scodinzola.
    Aveva scelto, insieme a papà, su Internet, un monitor nuovo per il suo PC, così i film avrebbero avuto colori brillanti e i giochi effetti più realistici.
    «Mettiamolo nella mia stanza! Mettiamolo nella mia stanza!». «E va bene, mettiamolo nella tua stanza, ma devi aspettare stasera quando torna papà. Lui è capace di installarlo, io no. Questa è la regola: non toccare nulla prima che arrivi papà». «Sì, sì, te lo prometto; però mettiamolo nella mia stanza!».
    Ma qualche ora è troppo per chi – esageratamente coccolato – è abituato ad avere tutto subito, come il monitor nuovo alla sua età. E allora, mentre la mamma è indaffarata in cucina, sfila piano piano l’oggetto fantastico dall’involucro, un po’ arruffato dopo il controllo della mamma. Un po’ la frenesia, un po’ il peso dell’oggetto... gli scivola di mano e – per la Legge di Murphy – batte di spigolo. Uno scricchiolio fa pensare male.
    Il bimbo riavvolge in fretta il monitor nelle sue bende di plastica a bollicine e lo ripone nello scatolone. Si sa, i bimbi sono convinti che, coprendosi gli occhi, nessuno li veda...
    Arriva papà. Festa. «Papà, installa il monitor prima di cenare, ti prego!». «Va bene, oggi è il tuo compleanno, comandi tu!». E la mamma: «Non mi pare che gli altri giorni sia diverso...!».
    Papà intronizza il monolito nero sul tavolino... c’è qualcosa di strano. Basta accenderlo e... si palesa un crepa in diagonale. Tutto attorno i colori disegnano sullo sfondo frattali curiosi e finanche piacevoli, se non fosse che decretano l’inutilizzabilità dell’oggetto prezioso per gli scopi propri.
    «Cara, ma non hai controllato il pacco prima di firmare la ricevuta?». «Sì che l’ho controllato! – dice mamma – e ti assicuro che era a posto». Rivolta al figlio: «Mi avevi promesso che avresti aspettato papà!». «Ma io non ho fatto niente, mamma!». «Allora qualcuno mi deve spiegare – interviene papà raccogliendo un pezzetto di plastica nera da terra – come mai questa scheggia era fuori dallo scatolone e... si incastra perfettamente qui!».
    «È colpa sua!», dice umiliato ma non vinto il ragazzino. «Io non volevo che lui si rompesse e perciò non doveva rompersi. E se tu, papà, stavi a casa dal lavoro, questo non sarebbe successo!».
         «Lasciamo perdere, Silvietto, che abbiamo cose più importanti da fare...».

sabato 14 settembre 2013

Chiese chiuse



Il parroco ha appena chiuso la chiesa per andare a pranzo. Mentre si allontana verso la canonica, lo avvicina un parrocchiano “eminente”, membro del consiglio pastorale. È un uomo retto e zelante, stimato per la sua vita di fede e di fedele. Ha però più volte manifestato insofferenza verso il pastore e non ha mancato occasione per criticarlo, apertamente in consiglio ma anche nelle chiacchiere che si fanno tra parrocchiani.

«Signor parroco – gli dice – ho sentito in giro lamentele perché lei tiene la chiesa chiusa molte ore durante il giorno. Proprio ieri ho visto un uomo di mezza età avvicinarsi alla porta della chiesa e, trovandola chiusa, allontanarsi con disappunto».

«Siamo in città – risponde il parroco, cercando di mascherare un certo fastidio più per il pregiudizio in genere che per l’osservazione in merito – e io sono da solo. Non posso fidarmi a lasciare la porta della chiesa aperta se non c’è nessuno. Magari potreste darmi una mano...».

«Però così, se uno sente il desiderio di pregare davanti al Sacramento, viene scoraggiato e forse perdiamo qualcuno che voleva riavvicinarsi alla fede».

«Può anche essere, ma non ho mai sentito di nessuno che abbia perso la fede perché ha trovato la porta della chiesa chiusa. Piuttosto, e purtroppo, è più facile che qualcuno abbia sentito la sua fede vacillare perché ha trovato la porta della chiesa aperta, ha visto la fiacchezza della nostra preghiera e magari – mea culpa – ha sentito le nostre prediche...».

Sarebbe meglio se ci preoccupassimo di riempire le persone piuttosto che di riempire le chiese.

lunedì 9 settembre 2013

Se vuoi la pace, preparati alla guerra

La guerra contro il male «comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune» (papa Francesco all'Angelus dell'8 settembre).
È proprio vero: davanti alla situazione in Siria «non possiamo chiudere gli occhi», come dice il presidente Obama; né «restare inerti», come ha detto, con il sostegno di un ampio coro multilingue, Madeleine Albright, segretario di Stato ai tempi di Clinton. È assolutamente necessario – politicamente e moralmente – fare qualcosa.
Per esempio, togliere l'ossigeno all'industria delle armi. O sarebbe qualificato come guerra chimica? Utilizzare l'esercito e perfino i marines per stroncare il mercato illecito delle armi (non credo ce ne sia uno moralmente lecito!). È un "peccato mortale" la turbativa di mercato o è un mercato mortale quello delle armi?
Mr. Obama, non puoi chiudere gli occhi davanti alla prova provata che gli Stati Uniti sono gli operatori principali sul mercato delle armi. Non puoi restare inerte davanti agli spacciatori di morte protetti dal tuo governo. Il 30% delle cause di questa e di tante altre guerre è in casa tua. Comincia tu, premio Nobel per la pace, a togliere la trave che chiude il tuo occhio (o il travel cheque che ti ammanetta i polsi).
Poi a me, italiano, qualcuno spiegherà come sia possibile digiunare per la pace il giorno 7 e il giorno dopo spendere l'equivalente del fabbisogno di cassa per comperare gli F-35.

sabato 7 settembre 2013

Don Enrico Chiavacci, testimone di pace



In questa Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria voluta da papa Francesco il pensiero non può non andare a un testimone che tanto ha insegnato contro la guerra e ora ha raggiunto il Cielo: don Enrico Chiavacci, parroco di San Silvestro a Firenze, teologo morale e uno dei padri fondatori dell'Associazione Teologica italiana per lo Studio della Teologia Morale (ATISM), di cui è stato anche presidente, morto il 25 agosto scorso a 87 anni.
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Nel luglio 2010 era a Trento in occasione del Convegno internazionale di teologia morale “In the Currents of History: from Trent to the future” dove era stato fra i relatori ai gruppi di lavoro proprio sul tema della “guerra giusta”, legittimata dalla tradizionale morale cristiana, ma su cui don Enrico metteva molti distinguo in nome anche della Pacem in Terris.
“Se la pace sulla terra è realtà iniziale della pace di Cristo, il cammino della pace non finirà mai finché ci sarà storia. L'ideale di pace non sarà mai raggiunto nella storia dell'umanità, che sarà sempre una lotta contro il potere delle tenebre (egoismo, prevaricazione, dominio dell'uomo sull'uomo), fino all'ultimo giorno” aveva detto convinto.
Ma esistono 3 aspetti di mancanza di pace da riconoscere:
1.       L’oppressione politico-militare e i conflitti
2.       L’oppressione economica mondiale: il rapporto squilibrato nord-sud
3.       L’oppressione mass-mediale con l’enorme potere in mano ai “comunicatori”.
L’etica tradizionale, diceva Chiavacci si fermava al “non rubare”, ma ora siamo al “non arricchire”, perché stai sottraendo il cibo (e acqua) a chi non ce l’ha e lo costringi a riprenderselo, ma tu vuoi sempre di più (magari per la tua smisurata “fame” di energia). Auspicava con forza l’avvento di una nuova etica, anche economica, in grado di riequilibrare le sorti dell’intera famiglia umana.
E’ la capacità di sa leggere, magari con alcuni decenni di anticipo, i segni dei tempi.
Noi non siamo profeti, ma almeno discepoli sì.