venerdì 25 gennaio 2013

Una diversa strategia?



Si tiene oggi 25 gennaio la tradizionale Marcia per la vita nella capitale degli Stati Uniti. Personalmente non sono incline alle manifestazioni di piazza, ma si tratta pur sempre di un’espressione di democrazia.
Il fatto è però che a Washington si ricordano anche i 40 anni dalla decisione della Corte Suprema  – la Roe vs. Wade del 22 gennaio 1973 – di non considerare più illegale l’aborto nel primo trimestre di gravidanza, che di fatto ha azzerato le singole legislazioni statali (in Texas il divieto era contenuto nello Statuto del 1857). 40 anni di dispute, anche molto aspre, da parte dei contrari, più su questioni di principio che di reale attenzione alle persone  (e che nell’ultima campagna elettorale hanno raggiunto toni elevati). Senza peraltro ottenere nulla, perché nessun referendum è mai riuscito ad ottenere una maggioranza per l’abrogazione. Per avere qualche dato su quella che è oggi la realtà nei paesi occidentali, basta leggere quanto pubblicato questa settimana dal settimanale cattolico inglese Catholic Herald: su 10 feti riconosciuti come affetti da sindrome di Down, 9 vengono abortiti. Se qualcuno pensa che basti un cartello e qualche grido in piazza per cambiare una mentalità, si sbaglia di grosso, come quanti pensano che la loro responsabilità finisca col dire, a parole, “no all’aborto”, per poi occuparsi d’altro.
“Abbiamo sbagliato per 40 anni”. A scriverlo oggi sull’Huffington Post è Charles J. Reid, un laico cattolico attualmente docente di diritto canonico all’università di St. Thomas in Minnesota.  Il partito repubblicano ha fatto di tutto in questi decenni per far giungere alla Corte Suprema dei giudici in grado di ribaltare la decisione, ma , pur avendo la maggioranza, non è stato fatto (in nome delle scelte fondamentali di libertà personale garantite dalla Costituzione).
Joseph Louis Bernardin
Occorre ripensare la strategia, scrive Reid e richiama ai lettori che, tra i cattolici, c’è chi l’aveva  già proposto, nel 1983: il card. Joseph Bernardin (nella foto), arcivescovo di Chicago, presidente della Conferenza episcopale americana, di origini italiane. Il ricordo dei suoi genitori partiti nel 1928 dalle montagne trentine del Primiero (all’ombra delle Pale di San Martino) alla volta del Nuovo Mondo per garantire un futuro a quel bimbo che stavano per mettere al mondo (Bernardin è nato 2 mesi dopo il loro sbarco a New York) è stato costante nella sua predicazione e nei suoi scritti insieme alla strenua difesa della vita, ma, come spiega Reid, un po’ diversa dalla strada imboccata negli anni successivi.
Innanzitutto niente proclami o toni forti, ma la forza del dialogo e la persuasione delle persone non disgiunte da una solida formazione delle coscienze. “Dobbiamo articolare con chiarezza le nostre convinzioni, mantenendo sempre una civile cortesia nei confronti di quanti non la pensano come noi”. Con 2 condizioni: schieramento trasversale di quanti difendono la vita (il supporto repubblicano che ne ha fatto una bandiera ha nuociuto non poco alla causa) e una concezione di vita che abbracci l’intera esistenza delle persone. Perché difendere la vita e contemporaneamente il diritto di portare kalashnikov e fucili d'assalto non ha alcun senso.
Ai cattolici è chiesto di difendere i valori (e il primo valore è la persona umana). Unico scopo di un movimento pro-Life dovrebbe essere questo, non vincere le elezioni o scegliere un presidente. Il card. Bernardin la chiamava “una coerente etica di via” che l’ha condotto a battersi per migliorare la vita dei più deboli, sollevare la questione della pena di morte., ma anche venire incontro alle famiglie, alla difesa del lavoro, dei congedi parentali …
I cattolici hanno un enorme patrimonio storico a difesa della giustizia: imbocchiamo un’altra direzione, conclude il prof. Reid.