giovedì 31 gennaio 2013
venerdì 25 gennaio 2013
Una diversa strategia?
Si tiene oggi 25 gennaio la tradizionale Marcia per la vita
nella capitale degli Stati Uniti. Personalmente non sono incline alle manifestazioni
di piazza, ma si tratta pur sempre di un’espressione di democrazia.
Il fatto è però che a Washington si ricordano anche i 40
anni dalla decisione della Corte Suprema – la Roe vs. Wade del 22 gennaio 1973 – di non
considerare più illegale l’aborto nel primo trimestre di gravidanza, che di
fatto ha azzerato le singole legislazioni statali (in Texas il divieto era
contenuto nello Statuto del 1857). 40 anni di dispute, anche molto aspre, da
parte dei contrari, più su questioni di principio che di reale attenzione alle
persone (e che nell’ultima campagna
elettorale hanno raggiunto toni elevati). Senza peraltro ottenere nulla, perché
nessun referendum è mai riuscito ad ottenere una maggioranza per l’abrogazione.
Per avere qualche dato su quella che è oggi la realtà nei paesi occidentali,
basta leggere quanto pubblicato questa settimana dal settimanale cattolico
inglese Catholic Herald: su 10 feti
riconosciuti come affetti da sindrome di Down, 9 vengono abortiti. Se qualcuno
pensa che basti un cartello e qualche grido in piazza per cambiare una mentalità,
si sbaglia di grosso, come quanti pensano che la loro responsabilità finisca
col dire, a parole, “no all’aborto”, per poi occuparsi d’altro.
“Abbiamo sbagliato per 40 anni”. A scriverlo oggi sull’Huffington Post è Charles J. Reid, un laico cattolico attualmente docente di
diritto canonico all’università di St. Thomas in Minnesota. Il partito repubblicano ha fatto di tutto in
questi decenni per far giungere alla Corte Suprema dei giudici in grado di
ribaltare la decisione, ma , pur avendo la maggioranza, non è stato fatto
(in nome delle scelte fondamentali di libertà personale garantite dalla
Costituzione).
Occorre ripensare la strategia, scrive Reid e richiama ai
lettori che, tra i cattolici, c’è chi l’aveva già proposto, nel 1983: il card. Joseph
Bernardin (nella foto), arcivescovo di Chicago, presidente della Conferenza episcopale
americana, di origini italiane. Il ricordo dei suoi genitori
partiti nel 1928 dalle montagne trentine del Primiero (all’ombra delle Pale di
San Martino) alla volta del Nuovo Mondo per garantire un futuro a quel bimbo
che stavano per mettere al mondo (Bernardin è nato 2 mesi dopo il loro sbarco a
New York) è stato costante nella sua predicazione e nei suoi scritti insieme
alla strenua difesa della vita, ma, come spiega Reid, un po’ diversa dalla
strada imboccata negli anni successivi.
Innanzitutto niente proclami o toni forti, ma la forza del
dialogo e la persuasione delle persone non disgiunte da una solida formazione
delle coscienze. “Dobbiamo articolare con chiarezza le nostre convinzioni,
mantenendo sempre una civile cortesia nei confronti di quanti non la pensano
come noi”. Con 2 condizioni: schieramento trasversale di quanti difendono la
vita (il supporto repubblicano che ne ha fatto una bandiera ha nuociuto non
poco alla causa) e una concezione di vita che abbracci l’intera esistenza delle
persone. Perché difendere la vita e contemporaneamente il diritto di portare kalashnikov e fucili d'assalto non ha alcun senso.
Ai cattolici è
chiesto di difendere i valori (e il primo valore è la persona umana). Unico
scopo di un movimento pro-Life dovrebbe essere questo, non vincere le elezioni
o scegliere un presidente. Il card. Bernardin la chiamava “una coerente etica
di via” che l’ha condotto a battersi per migliorare la vita dei più deboli,
sollevare la questione della pena di morte., ma anche venire incontro alle
famiglie, alla difesa del lavoro, dei congedi parentali …
I cattolici
hanno un enorme patrimonio storico a difesa della giustizia: imbocchiamo un’altra
direzione, conclude il prof. Reid.
venerdì 18 gennaio 2013
domenica 6 gennaio 2013
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