lunedì 24 dicembre 2012

Viaggio a Betlemme





Camminai verso Betlemme
Con grande fame d’amore.
Abbandonai l’aratro nel suo solco
Vicino alla cisterna asciutta.
Salutai il carrettiere seduto
All’ombra del suo carico disciolto
L’animale sfinito nel mare di sole.
Panni lavati vidi stesi a macchia
Sulla magrezza dei cespugli
Scolorite bandiere di miseria
Con sogni di tavole imbandite
E di stanze nuziali.
Camminai, oh tanto camminai,
col cuore sempre più peso,
sempre più strappato
senza voltarmi mai
sulla strada morsa dai ginepri.
Né mi fermai
Finché non intravidi i tetti di Betlemme:
bianchi coperti che nascondevano
la povertà dell’uomo senza patria:
lui che fra le nuvole e libere pareti
ora può sorseggiare l’Amore.

Buon Natale!

Padre Efrem Trettel ofm, classe 1921, da 58 anni in missione tra gli emigranti italiani a San Francisco

venerdì 14 dicembre 2012

Trendy?



Ci sono dei termini, mutuati da altre lingue europee, ormai entrati nell’uso comune come sancisce anche l’ultimo Dizionario Zanichelli.
Così “vintage”:
[vc. ingl., propr. ‘d'annata’, detto del vino pregiato, dal fr. ant. vendenge ‘vendemmia’ 1992]
A s. m. inv.
1 (enol.) denominazione di vini d'annata di particolare pregio
2 (est.) nell'abbigliamento, denominazione di vecchi capi di vestiario, che testimoniano lo stile di un'epoca o di un creatore di moda | la moda di indossare tali capi: il vintage è molto amato dai giovani
B anche agg. inv.: abito, capo vintage
E così “trendy”:
[vc. ingl., propr. ‘alla moda’ da trend ‘tendenza, moda, voga’ 1986]
agg. inv.
che segue una tendenza di moda o contribuisce a crearla: rivista, discoteca trendy CFR. cool

Da queste definizioni del vocabolario è quantomeno singolare leggere sull’Economist in uscita che nella Chiesa sarebbe “trendy l’essere tradizionalisti” e ci sarebbero cifre a confermarlo: in Inghilterra la Latin Mass Society ha superato i 5 mila iscritti e il numero delle messe settimanali con l’antico rito ha raggiunto oltreManica le 157 unità. Idem negli Stati Uniti.

 
Ora che il “vintage” sia amato dai giovani, come scrive lo Zanichelli, è vero, come sono immortali le canzoni dei Beatles o dei Rolling Stones (ma pure i cartoons Disney), ma che si possa immaginare di vedere le ragazze di oggi indossare veli di pizzo (l’Economist parla di “mantiglie”) e completi tweed, credo sia un po’ difficile. Già i pizzi nelle vesti liturgiche sono poco accettati, … eppure c’è chi indossa volentieri ben altri paramenti, tanto per ricreare una bella netta separazione tra i laici e il clero (ma non siamo tutti "popolo di Dio"?).
E’ in atto nei paesi occidentali, dalla fede stanca e annoiata, un vero e proprio revival tradizionalista: il vintage liturgico sarebbe trendy, con buona pace del Concilio.
Ma che diranno i cattolici degli altri continenti? 
E noi … zitti?


martedì 20 novembre 2012

Tremando un poco di commozione

«Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale».

Con queste parole molto commoventi Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 annunciò l'intenzione di "organizzare" il concilio Vaticano II. Eletto da appena tre mesi, il papa si rivolse così ai cardinali: «Gradiremo da parte di ciascuno dei presenti e dei lontani una parola intima e confidente che Ci assicuri circa le disposizioni dei singoli e Ci offra amabilmente tutti quei suggerimenti circa la attuazione di questo triplice disegno». Dopo l'invocazione di protezione della madonna e dei santi, aggiunse: «Da tutti imploriamo un buon inizio, continuazione, e felice successo di questi propositi di forte lavoro, a lume, ad edificazione ed a letizia di tutto il popolo cristiano, a rinnovato invito ai fedeli delle Comunità separate a seguirci anch'esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra».

In occasione dell'anniversario per i 50 anni, l'attuale pontefice Benedetto XVI ha ricordato, in un saggio ripreso in un numero speciale de L'Osservatore Romano (cf. Settimana n. 40), le prime ore dopo l'apertura del Concilio: «Fu una giornata spendida quando, l'11 ottobre 1962, con l'ingresso solenne di oltre duemila padri conciliari nella basilica di San Pietro a Roma, si aprì il concilio Vaticano II... Fu impressionante vedere entrare i vescovi provenienti da tutto il mondo, da tutti i popoli e razze: un'immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo, nella quale i popoli della terra si sanno uniti nella sua pace».

Per riscoprire l'aspetto più "umano" di quell'avvenimento, abbiamo pensato di riproporre nei prossimi giorni alcuni passaggi dei "verbali" dei lavori, una sorta di sintesi cronologica, realizzata da Documentation Information Catholiques Internationales.

sabato 3 novembre 2012

Una proposta … decente e coerente!



Non credo che i nostri vescovi scrivano Lettere con l’intento di finire sui giornali, ma se di fatto vengono ripresi dalla cronaca un motivo ci sarà. 
Questa volta una sorpresa: a Torino la prima Lettera sui Rom e Sinti.
Ma le novità non si fermano qui: mons. Nosiglia "amplia" la dedica dalle comunità cristiane alle istituzioni politiche e civili e poi lancia una proposta che fa già discutere: “adottiamo una famiglia rom”. 

In Europa le iniziative sono all’ordine del giorno – significativa l’ospitalità in arcivescovado da parte del card. Schönborn a Vienna – ma da noi, patria di individualismo e particolarismi, non è proprio usuale.
Eppure, spiega la Lettera, questo è solo l’ultimo atto di un impegno che in diocesi viene da lontano, dagli anni del “Camminare Insieme” del card. Pellegrino, e che ha visto il pastore girare di campo in campo a verificare di persona le condizioni di quel “piccolo popolo con molti bambini” che vive spesso “al di sotto della soglia di vivibilità”, ma che ha registrato anche il coinvolgimento di diverse associazioni e gruppi ecclesiali e non. Un popolo che conosce la crisi, perché “in crisi da sempre”.
E la proposta, coerente con una testimonianza evangelica, che si traduce in un aiuto a cercar casa, lavoro, sostegno per i figli che vanno a scuola, diventa uno stimolo ben oltre i confini della diocesi piemontese.

mercoledì 24 ottobre 2012

Signori si nasce



«Se io la chiamerei (sic!) “signore”, cosa penserebbe?» ha chiesto irritato il “signor prefetto” di Napoli, Andrea De Martino, al (nonsignor) parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, rimproverandolo per la sua mancanza di rispetto verso il prefetto di Caserta, alla quale ha fatto riferimento con l’appellativo di “signora”. «L’ha offesa, e ha offeso anche me e tutti quanti, con i sindaci completi (ri-sic!). Immagini se lei si rivolge a un sindaco dicendo “signore”! Il rispetto delle istituzioni è fatto di fatti e non di parole!». Don Maurizio ha risposto scusandosi profondamente e giustificandosi: «Non sono avvezzo a questi consessi. Mi perdonerete tutti quanti». Come lui probabilmente ha già “perdonato” quelli che lo chiamano prete, celebrante, padre, pastore, sacerdote, chierico, ecclesiastico, cappellano, parroco, don, reverendo, ministro del culto... «Signore si nasce e io lo nacqui, modestamente», diceva il compaesano del signor prefetto, Totò.


domenica 21 ottobre 2012

Disuguaglianza sociale: una scelta obbligata?



Homo sapiens è il titolo di una mostra attualmente visitabile presso il Museo di Scienze Naturali a Trento, la grande storia della diversità umana dalla culla d’Africa fino all’intero pianeta (curatori il genetista Luigi Cavalli Sforza e il filosofo della scienza Telmo Pievani).
Ma noi apparteniamo anche alla specie di homo eligens, scrive il sociologo Zygmunt Bauman su Avvenire, analizzando il pensiero di Daniel Dorling, docente di geografia umana a Sheffield sul tema della disuguaglianza sociale.
    Zygmunt Bauman (Poznan, Polonia 1925, docente emerito di 
                                                sociologia all'università di Leida)
“Siamo un animale che sceglie  e nessuna pressione, per quanto coercitiva, crudele e indomabile, ha mai potuto sopprimere completamente la nostra libertà di scelta, né quindi determinare univocamente la nostra condotta …
Non siamo palle da biliardo che si muovono sul tavolo assecondando i movimenti di chi tiene in mano la stecca; noi siamo, per così dire, predestinati a essere liberi – e per quanto magari vogliamo ardentemente liberarci dai tormenti della scelta, noi ci confronteremo sempre con più di un modo di procedere, e la scelta tra le diverse possibilità è lasciata a noi. Ci sono due fattori che, insieme, formano le nostre scelte, il nostro modo di vivere e la traiettoria della nostra esistenza. Una è il “destino” – un insieme di circostanze sulle quali non abbiamo alcuna influenza –, le cose che “ci capitano” (per esempio, il luogo geografico e la posizione sociale nei quali siamo nati e l’epoca della nostra nascita); l’altra è il nostro carattere, ciò su cui possiamo esercitare la nostra influenza, da esercitare e coltivare …
Tanto più risulta alto il costo sociale di una determinata scelta, tanto più bassa è la probabilità che venga compiuta. E i costi in base ai quali chi opera una scelta viene indotto a misurarsi in maniera assai concentrata sono pagati per lo più con la moneta dell’accettazione sociale, dell’avanzamento e del prestigio. Nella nostra società questi costi sono distribuiti in modo che la resistenza alla diseguaglianza e alle relative conseguenze (di natura sia pubblica sia personale) divenga estremamente difficoltosa e quindi assai improbabile da sottoscrivere e perseguire rispetto alle alternative costituite dalla placida sottomissione o dalla collaborazione volenterosa.
E i dadi, che noi – abitanti di una società capitalista e individualizzata – non possiamo fare altro che continuare a gettare nella maggior parte e forse in tutte le partite della nostra esistenza, sono in effetti sempre truccati a favore di quanti traggono o sperano di trarre profitto dalla diseguaglianza ...”.
Ma che accadrebbe se i cattolici prendessero un po’ più sul serio la Dottrina Sociale della Chiesa?

martedì 2 ottobre 2012

Lo Stato italiano in "coma etico"

Lo avevamo già detto a luglio (n. 29/30 di Settimana): «Il nostro paese è ancora immerso in una sorta di "coma etico". O di schizofrenia: tutti invocano legalità, anche quelli che la calpestano». 

Dopo le dimissioni del presidente della Regione Lazio Renata Polverini e l'arresto dell'ex capogruppo Pdl Franco Fiorito per peculato, tornano a tuonare queste parole. "Ora basta", lo ha detto anche il presidente di Libera don Luigi Ciotti: «Servono scelte chiare e nette, anzi categoriche. Come nella lotta alla mafia, non sono possibili mediazioni nella lotta contro la corruzione, che tiene in ostaggio la democrazia e si affianca all'emergenza etica». L'Italia, anche secondo il presidente del "cartello" di associazioni che lavorano nella lotta a tutte le mafie, versa in uno stato di "coma etico" ed «è culturalmente depresso; è un Paese in cui si considera normale tutelare i tornaconti personali. La situazione è davvero grave, se oltre a chi fa il male c'è anche chi guarda e lascia fare».

Non ci sono soluzioni facili, non ci sono regole magiche. Come abbiamo già detto quest'estate «abbiamo bisogno di percorsi di inclusione e di responsabilità, perché ogni cittadino si senta tessera di quel mosaico dal quale non solo non è giusto, ma semplicemente non è possibile chiamarsi fuori».

giovedì 27 settembre 2012

Donne: perché no?



Che sia autentico o meno il papiro copto la cui notizia ha fatto il giro del mondo a dir la verità forse importa solo agli addetti ai lavori. Che il termine “mia moglie” (attribuito a Gesù), sia reale o solo figurato interessa ancora meno: in ogni caso si tratta di un testo apocrifo e poi il significato spazierebbe anche su amica, compagna, collaboratrice …
Ma c’è un aspetto che potrebbe fare la differenza: se questa notizia potesse in qualche modo porre definitivamente termine ad una situazione problematica com’è stato per secoli il rapporto Chiesa-donne, nonostante tutti i documenti che affermerebbero il contrario. Che la relazione di Gesù con le donne fosse ben diversa da quella dell’epoca (vedi Samaritana al pozzo, per fare un esempio) si conosceva, ma che si possa immaginare che parlasse anche solo di un’amica di cui potersi fidare, non sarebbe rivoluzionario? “Una donna per amico”, cantava Lucio Battisti, e se l’avesse pronunciato ben prima Gesù?

Perché non le donne?”, titola un articolo di Emil A. Wcela sulla rivista dei gesuiti America del  1 ottobre. I testi del Magistero hanno parlato chiaro anche di recente: l’ordinazione per le donne non s’ha da fare. Neanche questo credo sia un problema per la maggior parte di loro. 
Ma perché non “altri” ministeri? si chiede l’Autore, che è vescovo emerito di Rockville, NY. Nella Chiesa primitiva erano molti i ministeri a rendere feconda la vita della comunità, primi fra tutti i diaconi.  Oggi non esistono ragioni culturali per escludere le donne dal diaconato, ma la questione è ancora aperta: fino a quando?
Laici corresponsabili della pastorale: uomini e donne, tanto per non dimenticare.