martedì 19 giugno 2012

Faglie


Il terremoto sta facendo crollare, scossa dopo scossa, non solo case, chiese, capannoni e stalle, ma anche ipotesi scientifiche e strategie preventive. E per ora non ci permette nemmeno di utilizzare i verbi al passato. Se comunque, tra me e me, provo a fare una sintesi semplificatrice delle analisi raccolte da più voci, mi par di aver capito che quest’ultimo terremoto – anzi, terremoti – sia originato dallo scontro di placche geologiche lungo una faglia (peraltro in se stessa frammentata) ai piedi dell’Appennino emiliano.
Questa regione sta conoscendo la devastazione di un fronte geologico sommerso, che l’attraversa per lungo e che, quando si attiva, scompiglia, minaccia, abbatte o più cinicamente costringe te ad abbattere, ma comunque alimenta terrore e angoscia.
Questa regione ha conosciuto – e anche questa è storia relativamente recente, che ancora impedisce di utilizzare i verbi al passato – la devastazione di un fronte geopolitico fra le placche del nazi-fascismo e della resistenza. La «faglia gotica» ha seminato morte e devastazione per 300 kilometri e 300 giorni. La ricostruzione civile e umana ha assorbito risorse individuali e collettive immense e si è potuta realizzare grazie al dispiegamento di virtù non comuni.
Dal passaggio del Rubicone, ai confini dello Stato pontificio, all’immancabile nevicata che accende il titolo automatico dei TG – «Italia divisa in due» – questa regione sembra appoggiata sul crocevia di faglie e confini che periodicamente la fanno sussultare e continuamente la chiamano a ricostruire, riconciliare, rifare il tessuto sociale. Del resto, questa è una regione che, come le altre due al confine, ha la cerniera, il trait-d’union nel suo nome: Emilia-Romagna.

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