Stazione di Bologna, anno 1 a.I. (avanti Internet).
L’ordinaria coda alla biglietteria si fa straordinaria per via di un anziano
signore, un po’ sordo un po’ confuso, che sta trattenendo l’impiegato allo
sportello con successive, e spesso ripetute, domande.
L’impiegato dispiega una pazienza proporzionale alla coda
che va crescendo. Il terzo della fila, al contrario, sta arrivando a
ebollizione per l’insofferenza. Da pentola di fagioli che borbotta in
continuazione si trasforma in pentola a pressione; un’imprecazione a timbro più
alto è il fischio che precede il botto.
– Insomma, la vuole finire con questo signore? È da
mezz’ora che sta allo sportello!
– Abbia pazienza. Ora è il suo turno e servo lui. Quando
toccherà a lei le darò tutto il tempo di cui ha bisogno. Non sia maleducato.
– Come si permette? Lei non sa chi sono io!
Da dietro il vetro, l’impiegato si alza in modo che tutti
lo vedano.
«Silenzio!», urla imperativo e autorevole. Il comando
viene eseguito all’istante, senza mettersi in coda. «Ora il signore ci spiega
chi è!».
Un mito (l’impiegato)! Un quadretto ormai “di una volta”,
non solo perché nell’era d.I. (dopo Internet) le code alle biglietterie siano
in via di estinzione – e certo non lo sono i cafoni. Semplicemente perché la Corte
di cassazione ha stabilito in questi giorni che il monito «Lei non sa chi sono
io» è punibile in quanto limita la “libertà psichica” dell’interlocutore. Quel
giorno, a Bologna, mi pare che il più limitato psichicamente fosse il
presuntuoso.
Nessun commento:
Posta un commento