venerdì 27 luglio 2012

Come si permette


Stazione di Bologna, anno 1 a.I. (avanti Internet). L’ordinaria coda alla biglietteria si fa straordinaria per via di un anziano signore, un po’ sordo un po’ confuso, che sta trattenendo l’impiegato allo sportello con successive, e spesso ripetute, domande.
L’impiegato dispiega una pazienza proporzionale alla coda che va crescendo. Il terzo della fila, al contrario, sta arrivando a ebollizione per l’insofferenza. Da pentola di fagioli che borbotta in continuazione si trasforma in pentola a pressione; un’imprecazione a timbro più alto è il fischio che precede il botto.
– Insomma, la vuole finire con questo signore? È da mezz’ora che sta allo sportello!
– Abbia pazienza. Ora è il suo turno e servo lui. Quando toccherà a lei le darò tutto il tempo di cui ha bisogno. Non sia maleducato.
– Come si permette? Lei non sa chi sono io!
Da dietro il vetro, l’impiegato si alza in modo che tutti lo vedano.
«Silenzio!», urla imperativo e autorevole. Il comando viene eseguito all’istante, senza mettersi in coda. «Ora il signore ci spiega chi è!».
Un mito (l’impiegato)! Un quadretto ormai “di una volta”, non solo perché nell’era d.I. (dopo Internet) le code alle biglietterie siano in via di estinzione – e certo non lo sono i cafoni. Semplicemente perché la Corte di cassazione ha stabilito in questi giorni che il monito «Lei non sa chi sono io» è punibile in quanto limita la “libertà psichica” dell’interlocutore. Quel giorno, a Bologna, mi pare che il più limitato psichicamente fosse il presuntuoso.

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