Il parroco ha appena chiuso la chiesa per andare a pranzo.
Mentre si allontana verso la canonica, lo avvicina un parrocchiano “eminente”,
membro del consiglio pastorale. È un uomo retto e zelante, stimato per la sua
vita di fede e di fedele. Ha però più volte manifestato insofferenza verso il
pastore e non ha mancato occasione per criticarlo, apertamente in consiglio ma
anche nelle chiacchiere che si fanno tra parrocchiani.
«Signor parroco – gli dice – ho sentito in giro lamentele
perché lei tiene la chiesa chiusa molte ore durante il giorno. Proprio ieri ho
visto un uomo di mezza età avvicinarsi alla porta della chiesa e, trovandola
chiusa, allontanarsi con disappunto».
«Siamo in città – risponde il parroco, cercando di
mascherare un certo fastidio più per il pregiudizio in genere che per
l’osservazione in merito – e io sono da solo. Non posso fidarmi a lasciare la
porta della chiesa aperta se non c’è nessuno. Magari potreste darmi una mano...».
«Però così, se uno sente il desiderio di pregare davanti
al Sacramento, viene scoraggiato e forse perdiamo qualcuno che voleva
riavvicinarsi alla fede».
«Può anche essere, ma non ho mai sentito di nessuno che
abbia perso la fede perché ha trovato la porta della chiesa chiusa. Piuttosto,
e purtroppo, è più facile che qualcuno abbia sentito la sua fede vacillare
perché ha trovato la porta della chiesa aperta, ha visto la fiacchezza della
nostra preghiera e magari – mea culpa
– ha sentito le nostre prediche...».
Sarebbe meglio se ci preoccupassimo di riempire le
persone piuttosto che di riempire le chiese.
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