Tra il 1945 e il 1961 furono ben 2 milioni e mezzo i tedeschi
che passarono dalla Repubblica democratica tedesca (DDR) alla Repubblica
federale. L’enclave di Berlino era la testa di ponte più frequentata per
l’approdo.
Nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961, le autorità della
DDR cominciarono a rinforzare il confine che attraversava Berlino con barriere
di filo spinato. «Nessuno ha
intenzione di costruire un muro», aveva dichiarato il 15 giugno il capo di stato della DDR, nonché segretario
del Partito socialista unitario, Walter Ulbricht. Il 15 agosto si cominciavano
a usare blocchi di cemento e pietra per costruire un muro che sarà lungo 155 km
e 28 anni...
Sul finire dell’agosto 1989 l’Ungheria aprì un varco nella
“cortina di ferro” verso l’Austria e a migliaia passarono dalla Germania
dell’Est all’Ungheria e alla Cecoslovacchia. Il vento del cambiamento aveva
cominciato ad alzarsi possente e diede aria alla protesta. Dapprima furono
vortici di piazza, che ai dirigenti politici sembrarono semplici temporali
isolati, ai quali avrebbero saputo opporre come al solito sponda. Il temporale
si ingrossò rapidamente e si fece ciclone. Il capo della DDR, Erich Honecker,
venne costretto alle dimissioni il 18 ottobre. Era stato lui, qualche mese
prima, a dichiarare che il Muro avrebbe avuto altri cent’anni di vita...
Il suo successore, Egon Krenz, concesse ai cittadini dell’Est
di passare a Ovest. Lo tsunami era
ormai incontenibile e il 9 novembre, esattamente 25 anni fa, uno scollamento
nella filiera della comunicazione scatenò l’urto di migliaia di persone contro
il Muro, che quella notte cedette.
Per parte mia, celebro l’anniversario sperando che, nell’occasione, qualche leader
dichiari perenni altri muri, costruiti di nuovo e ancora sulla terra, sul mare,
nell’etere.
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