Lavora o ha lavorato per il sito della Santa Sede. Ignoriamo
il suo nome, i suoi studi, cosa abbia pensato mentre mutavano i rapporti fra
la Chiesa ed Israele. Ma questo sconosciuto – impunito come chi commercia carte
e gossip d’oltre Tevere – è riuscito a depositare nel sito web vatican.va, per sfregio, una riga sulla
«razza» ebraica. L’ha infilata nella traduzione italiana del Vaticano II: Nostra aetate affermò che la Chiesa ha
sempre innanzi agli occhi le parole di Paolo «de cognatis eius» (cioè «sui
suoi congiunti») che dicono che l’adozione, la gloria, il patto, la legge, il
culto e le promesse appartengono a Israele e ai padri «dai quali è nato Cristo
secondo la carne». Nel sito vatican.va
quel «de cognatis» viene oggi tradotto «della sua razza»: ebraica,
naturalmente.
Non è un errore antico: è un atto recente, volontario. Il
testo latino (lo mostra la mia critica del Vaticano II nei Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta) non dava appigli. L’Osservatore Romano del 17 novembre
1965 traduceva «della sua stirpe». Le altre traduzioni d’allora, raccolte senza
ritocchi dal sito, non hanno esitazioni. Il tedesco recita «Stammverwandten»,
cioè parenti. La versione portoghese parla di «compatriotas». L’inglese
«kinsmen», come «soukmenovcich» in ceco. In swahili «juu ya watu wa ukoo wake»
indica le persone «del suo clan». Più inquietante l’«hermanos de sangre» dello spagnolo,
identica al bielorusso. Solo in francese si era già osato tradurre «race» nel
1965 (idiozia rimasta intonsa anche nel sito odierno).
La traduzione italiana usuale, dunque, è stata volontariamente
manipolata per sfregiare il Vaticano II con un termine dalla storia
inquietante: la razza. Entrato nella Spagna del secolo XV, passato al
linguaggio giuridico e politico, venne consegnato dal trattato Sur l’inégalité des races humaines,
opera del 1853 d’un cattolico come de Gobineau, a uno sviluppo «scientifico»,
di cui s’appropriano i perpetratori della Shoah. In quel lungo lasso di tempo
anche il magistero cattolico ha parlato dì razze: dalle discussioni sull’ammissione
ai sacramenti degli indios fino al formarsi di un magistero sull’unità della
famiglia umana, che negli anni Trenta afferma l’«uguaglianza delle razze».
Con la dichiarazione dell’Unesco del 1950 – la Santa Sede era rappresentata
dal nunzio Roncalli – il mondo ripudia l’idea di razza: e al Vaticano II, proprio
nella dichiarazione Nostra retate, la Chiesa rompe con l’antisemitismo «di
qualunque tempo e di chiunque».
Chissà se l’inventore di un inesistente Vaticano II «razzista»
è un cretino inoffensivo o la voce in talare di xenofobi, antisemiti,
suprematisti che innocui non sono. Ma che un nemico del Papa e della Chiesa
faccia rientrare dalla finestra del web l’ombra d’un pensiero cacciato conciliariter dalla porta, dice che il
Vaticano II ha ancora la forza di smascherare cosa c’è davvero dietro il sogno,
di liberarsene o di spuntarne con un preambolo tradizionalista lo sperone
riformatore che pungola la carne della Chiesa.
Alberto Melloni sul Corriere della sera 6/5/2012
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