mercoledì 9 maggio 2012

E nel Vaticano II torna la «razza» ebraica


Lavora o ha lavorato per il sito della Santa Sede. Ignoriamo il suo nome, i suoi studi, cosa abbia pensato men­tre mutavano i rapporti fra la Chiesa ed Israele. Ma questo sconosciuto – impunito come chi commercia carte e gossip d’oltre Tevere – è riuscito a de­positare nel sito web vati­can.va, per sfregio, una riga sul­la «razza» ebraica. L’ha infilata nella traduzione italiana del Va­ticano II: Nostra aetate affermò che la Chiesa ha sempre innan­zi agli occhi le parole di Paolo «de cognatis eius» (cioè «sui suoi congiunti») che dicono che l’adozione, la gloria, il pat­to, la legge, il culto e le promes­se appartengono a Israele e ai padri «dai quali è nato Cristo se­condo la carne». Nel sito vatican.va quel «de cognatis» vie­ne oggi tradotto «della sua raz­za»: ebraica, naturalmente.
Non è un errore antico: è un atto recente, volontario. Il testo latino (lo mostra la mia critica del Vaticano II nei Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta) non dava appigli. L’Osservatore Romano del 17 novem­bre 1965 traduceva «della sua stirpe». Le altre traduzioni d’allora, raccolte senza ritocchi dal sito, non hanno esitazioni. Il te­desco recita «Stammverwandten», cioè parenti. La versione portoghese parla di «compatrio­tas». L’inglese «kinsmen», co­me «soukmenovcich» in ceco. In swahili «juu ya watu wa ukoo wake» indica le persone «del suo clan». Più inquietante l’«hermanos de sangre» dello spagnolo, identica al bielorus­so. Solo in francese si era già osato tradurre «race» nel 1965 (idiozia rimasta intonsa anche nel sito odierno).
La traduzione italiana usuale, dunque, è stata volontariamen­te manipolata per sfregiare il Va­ticano II con un termine dalla storia inquietante: la razza. En­trato nella Spagna del secolo XV, passato al linguaggio giuri­dico e politico, venne consegna­to dal trattato Sur l’inégalité des races humaines, opera del 1853 d’un cattolico come de Go­bineau, a uno sviluppo «scienti­fico», di cui s’appropriano i per­petratori della Shoah. In quel lungo lasso di tempo anche il magistero cattolico ha parlato dì razze: dalle discussioni sul­l’ammissione ai sacramenti de­gli indios fino al formarsi di un magistero sull’unità della fami­glia umana, che negli anni Tren­ta afferma l’«uguaglianza delle razze». Con la dichiarazione del­l’Unesco del 1950 – la Santa Se­de era rappresentata dal nunzio Roncalli – il mondo ripudia l’idea di razza: e al Vaticano II, proprio nella dichiarazione No­stra retate, la Chiesa rompe con l’antisemitismo «di qualunque tempo e di chiunque».
Chissà se l’inventore di un inesistente Vaticano II «razzi­sta» è un cretino inoffensivo o la voce in talare di xenofobi, an­tisemiti, suprematisti che inno­cui non sono. Ma che un nemi­co del Papa e della Chiesa faccia rientrare dalla finestra del web l’ombra d’un pensiero cacciato conciliariter dalla porta, dice che il Vaticano II ha ancora la forza di smascherare cosa c’è davvero dietro il sogno, di libe­rarsene o di spuntarne con un preambolo tradizionalista lo sperone riformatore che pungo­la la carne della Chiesa.

Alberto Melloni sul Corriere della sera 6/5/2012

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