Incontro fra comunità. Vedo un confratello «in autorità» che mi passa vicino ma non si volta nemmeno per un saluto. Incuriosito – solitamente è molto cordiale – mi ci paro davanti: «Com’è, non saluti più?». «Oh, ciao! Mi hanno da poco operato dalle cataratte agli occhi e se non mi vieni vicino non ti vedo. Se poi aggiungi che sono anche un poco sordo...». Per continuare in tono scherzoso, mi metto naso contro naso: «Ecco, adesso ti vedo bene!». È sempre temerario l’accostamento fra i superiori e Dio. In questo caso, semplicemente da confratello, mi schiocca un pensiero: forse anche Dio è miope, molto miope, e ci vede solo se mi faccio di proposito vicino a lui, se cerco il suo volto, se lo “costringo” a guardarmi negli occhi e cambio io strada per farmi incontro a lui.
Superato l’incontro “ravvicinato” vado verso il corridoio delle stanze. In quel momento si affaccia in portineria un confratello al quale dovevo consegnare un libro. Mi vede, mi chiama, lo raggiungo: «Eccoti qui il libro che mi han chiesto di consegnarti». «Fai un po’ vedere...» e inforca gli occhiali.
Inevitabile il dubbio indotto sull’onda del precedente di qualche secondo prima: forse Dio è un po’ presbite; vede meglio i lontani, come il padre prodigo della parabola; quelli che sono in fondo alle chiese o addirittura fuori, gli ultimi ... O forse, semplicemente, ai suoi occhi non fa differenza lontano o vicino, perché lui guarda dentro.
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