È celebre la novella di Tolstoj La morte di Ivan Il’ič, il cui protagonista è un giudice che ha sempre saputo, certo, di essere mortale, e ha visto non pochi amici, più o meno giovani, abbandonare la vita. Quando si ammala, però, la concreta prospettiva di dover morire lo inquieta più di quanto avrebbe mai immaginato: cerca di pensare ad altro, si butta nel lavoro, ma senza risultati, perché il dato inoppugnabile della propria finitezza gli si riaffaccia di continuo alla mente. Mentre, in passato, riteneva che la cosa avrebbe riguardato sempre altri, e non lui.
Qualcosa
di simile è capitato a noi emiliani, con i terremoti del 20 e 29
maggio scorso. Un’eventualità – quella di esser colpiti da un
sisma importante – che non credevamo realistica, che ritenevamo
potesse accadere sì, ma altrove:
a L’Aquila, in Umbria, in Irpinia, in Friuli. Non qui, non in
queste terre che ci siamo abituati a immaginare sin da piccoli
appoggiate un po’ magicamente sull’acqua di più o meno antichi
sedimenti alluvionali. Rassegnàti fatalmente ai fastidi locali –
nebbie e freddo pungente in inverno, afa umida e zanzare d’estate –
ma non a questo.
Il racconto e la testimonianza di Brunetto Salvarani si può leggere sul numero 31 di Settimana.
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